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ARTICOLO TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 15/06/2010 - Una storia da Graffignana: «Mio figlio non vuole più studiare»

Una storia da Graffignana: per la preside «è colpa della famiglia che non ha collaborato» «Mio figlio non vuole più studiare»

 «Sono disperata. Invece di aiutare mio figlio l’hanno portato verso l’emarginazione». La mamma di Davide, affetto da Adhd (sindrome dell’iperattività, concentrazione e impulsività) che ha frequentato la prima media, a Graffignana, è disperata. «L’anno scorso - spiega - mio figlio era alle elementari Morzenti di Sant’Angelo. Erano in classe in 28, senza insegnante di sostegno e non ha mai avuto problemi: i docenti là l’hanno capito. Quest’anno, per le medie, ho deciso di mandarlo a Graffignana: in classe erano solo in 11 e poi facevano molti laboratori. Invece è stato un disastro, è diventato più ribelle anche a casa. A dicembre è arrivato il tracollo. Hanno incominciato a piombare le note». La signora Augusta è convinta che sia giusto, che un segnale alle famiglie vada dato, ma ritiene che i genitori e gli insegnanti debbano collaborare. La vicepreside Graziella Codecà la pensa all’opposto, ma lei è convinta. «La scuola - dice - non si è messa dalla parte di un bambino ammalato come Davide. La scuola di Graffignana è un’isola felice solo per i bambini che vanno bene. I bambini che hanno delle difficoltà vengono emarginati. Lo sanno, gliel’ha detto anche il neuropsichiatra, che i bambini con questa sindrome hanno bisogno di essere incentivati. Invece sono arrivati a dargli anche 4 note in un solo giorno, non l’hanno voluto alla gita e l’hanno sospeso tre volte per una settimana. Non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, tanto che mio figlio non vuole più andare a scuola. Le sospensioni a cosa hanno giovato? Adesso hanno chiesto l’insegnante di sostegno per il prossimo anno, ma a 11 anni è difficile farglielo accettare». La mamma di Davide è disperata. «Con il suo atteggiamento - dice - la scuola ha testimoniato che il suo unico obiettivo era quello di liberarsi di mio figlio. Le uniche persone che mi sento di ringraziare, della scuola, sono i bidelli, straordinari, le famiglie e i compagni, in particolare la sua vicina di banco, una ragazza speciale. Oltre a loro mi stanno dando una grossa mano la neuropsichiatra Paola Morosini, la psicologa Francesca Ercoli, Erica, la docente di ippoterapia dell’Ortica e Carla Torri del provveditorato: lei mi sta aiutando tantissimo. Davide è arrivato a mordersi un dito e farselo sanguinare per farsi mandare fuori dalla classe. Mio figlio è come uno che va in volata in bici senza i freni. Se gli insegnanti urlano, lui urla più di loro. E non si finisce più. Il preside Pietro Marazzina mi ha sempre saputo ascoltare, ma adesso lui era in malattia. Spero l’anno prossimo di trovare una scuola che sappia aiutarlo. Ho già bussato ad alcune porte, a Lodi, ma mi hanno detto che hanno altri casi come il suo e non c’è più posto». Per la vicepreside Codecà la situazione è esattamente opposta. Per lei è la famiglia che non ha collaborato con la scuola. «La mamma - commenta - non conosceva neanche tutti gli insegnanti perché non veniva ai colloqui. Ci sarebbe stato bisogno di avere almeno un colloquio settimanale con lei. Abbiamo avuto molti problemi a gestire il rapporto con la famiglia. L’avevamo persino fatto entrare a scuola ad aspettare il suono della campanella perché fuori si metteva in situazioni di pericolo. Nonostante ciò non siamo riusciti a proteggerlo. Abbiamo cercato di spiegare alla famiglia che i comportamenti del figlio non erano solo dettati dalla sindrome. Se avessimo usato con lui lo stesso metro che usavamo con gli altri l’avremmo espulso dalla scuola. Le note sì sono state date, ma perché si cercano tutti i modi per dare un’educazione agli alunni. Quando ci siamo rivolti alla neuropsichiatria di Lodi non ci sono state date indicazioni specifiche. Per lui avevamo anche adottato un percorso scolastico differenziato, ma la mamma ha sempre assecondato l’alunno nella sua convinzione che la scuola ce l’avesse con lui. Questo atteggiamento non è stato di aiuto al ragazzo e non lo sarà in futuro. Qui l’alunno non ha subito ingiustizie. Siamo una scuola che accoglie tutti, avevamo 25 ragazzi provenienti da fuori, vedevo l’assistente sociale una volta alla settimana. Se la famiglia ci avesse dato un po’ di fiducia saremmo riusciti a fare qualcosa di buono anche con lui».